La nazionale di calcio esce dai mondiali brasiliani. Seconda bocciatura consecutiva nella fase eliminatoria, dopo i fasti del 2006. E' un peccato. Salvo gli sprovveduti e le innumerevoli puzze sotto il naso nei confronti del fenomeno calcistico, si sa l'effetto trascinamento che il calcio provoca. Tanti si sentono più Paese grazie ai trionfi sportivi, quelli del pallone in primis. Una vittoria ai mondiali è stimata un punto di Pil. L'allenatore Prandelli ha dato le dimissioni. Un esempio edificante nella logica, assai diffusa, dello scaricabarile che di solito caratterizza chi ha una responsabilità pubblica e fallisce. Ho perso, è colpa mia, me ne vado. Chissà se a Grillo son fischiate le orecchie. Eppure, al solito, non è l'allenatore che scende in campo, ma i giocatori. E la squadra è sembrata poco tonica, unita, convinta. Soprattutto in attacco. Si è avvertito, nei momenti cruciali, che ci sarebbe voluto, anche tra gli undici in campo, una sorta di effetto Renzi. Una feroce determinazione. E' sembrato mancare, nei tratti decisivi, l'orgoglio sano di voler combattere, nonostante le condizioni sfavorevoli, anzi a maggior ragione. Soprattutto nei giovani, nei quali avevamo riposto speranze e dai quali doveva arrivare il brio maggiore, come dai molti giovani al governo. In particolare, spiace doverlo constatare, da Mario Balotelli, celebrato in Brasile come un eroe senza se ne fossero ancora osservate le gesta. Si capisce lontano un miglio che non riesce liberarsi dalle gabbie caratteriali in cui è imprigionato. Dovrebbe seriamente riflettere se davvero il suo mondo è quello del calcio, una ovatta dorata che, a lui, sembra riverberare solo luccichii controproducenti. Ci sono tante cose che può fare, che aiutano a realizzarsi e sono più importanti e solidi del calcio. Nella critica fase dell'italico mondo del pallone, della quale il risultato degli azzurri è solo la punta dell'iceberg, non certo un episodio isolato, è ora auspicabile arrivi....un effetto Renzi.
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